Premessa: Noemi e suo marito sono stati in viaggio in Myanmar, ex-Birmania, nel 2006. Da allora sono cambiate alcune cose, la più importante riguarda l’elezione proprio l’anno scorso del partito di Aung San Suu Kyi, da sempre contrapposto al regime militare (al potere dal 1962). Fatto che hanno seguito con molta emozione e gioia proprio per l’amore e la preoccupazione che nutrono per questo splendido paese. E adesso veniamo al racconto di Noemi, blogger di unadonnalcontrario come special guest di questo mercoledì.
Viaggio in Myanmar: la terra incantata
Atterrata in Myanmar, mi sono sentita subito catapultata in un film degli anni ‘40. Militari ad attenderti all’aeroporto, autobus arrugginiti dai rumori assordanti, taxi dai pavimenti bucati. Ero già stata nel sud del mondo e ci sono tornata anche negli anni successivi, ma non ho mai trovato nulla di paragonabile a Yangon, l’ex-capitale birmana.
Vivevo sentimenti contrastanti: da un lato la bellezza inimmaginabile della Shwedagon Paya completamente rivestita d’oro, del giardino di Kandawagyi, del sorriso della gente; dall’altro la povertà, i palazzi grigi, tristi. Sembrava un cantiere sempre aperto.
Viaggio in Myanmar: la gente
Eppure mi sono sentita subito appartenere a questa terra. Lasciare le scarpe ai piedi di scalinate infinite che portano ai templi e, con i piedi nudi, toccare gradini rivestiti di insetti mai visti prima, cibi dall’aspetto incomprensibile, niente mi ha dato fastidio, al contrario l’ho amato. Mi sentivo perfettamente integrata e non riuscivo a spiegarmelo.
Forse una vita passata … non so.
Ma c’era qualcos’altro e questo l’ho capito non appena ho guardato in faccia le persone.
Ecco cosa rende i viaggi un’esperienza indimenticabile per me: la gente.
E in Myanmar la gente sorrideva sempre, era delicata, era sorprendentemente gentile e disponibile. “Sorprendentemente” perché non sono liberi, non possono parlare di “tutto”, hanno un tasso di mortalità altissimo perché non possono accedere facilmente alla sanità, perché sono poveri e quando dico poveri, intendo poverissimi. Ma dentro, nel loro cuore, sono ricchi, estremamente ricchi. Io non ho mai avuto paura in questo paese, qui non si ruba, qui non c’è uno sguardo violento, qui si respira pace. E ancora oggi mi chiedo come facciano.
Nella Shwedagon, imponente capolavoro di architettura birmana, abbiamo conosciuto un ex-professore universitario che, per aver voluto raccontare la vera storia del Myanmar ai suoi studenti, è stato licenziato, ha perso il diritto alla pensione ed è costretto, pur abitando fuori Yangon, a prendere un autobus alle 5 del mattino, raggiungere la Shwedagon e sperare che qualche turista lo usi (come abbiamo fatto noi) come guida.
Dimenticatevi atteggiamenti pietosi, aveva uno sguardo fierissimo e io me lo ricordo ancora molto bene.
Viaggio in Myanmar: Bagan
Il luogo di cui, però, voglio parlarvi in particolare è un posto sacro per i birmani, il suo nome è Bagan e in un’aerea di soli 40 km quadrati concentra circa 2200 stupa. Tutto quello che c’è di triste a Yangon, viene dimenticato non appena approcci la bellezza di questo luogo. A Bagan sembra di stare in un luogo senza tempo, nel mondo delle fiabe. Tiziano Terzani ha scritto che Bagan è uno di quei luoghi che “ti rende fiero di appartenere alla razza umana” e io la penso come lui.
Anche qui è la gente che ti conquista subito. Immersi nel fascino di questo luogo fiabesco, dai tramonti che passano dal rosa al viola, condotti da uno stupa all’altro su un calesse con cavallo e cocchiere magrissimi, abbiamo cercato di stringere legami con le persone, con i bambini, bellissimi e, ahimè, costretti a chiedere l’elemosina da tempio a tempio. Sulla Shwesandaw Paya abbiamo conosciuto Cherry, una bimba che si era innamorata della mia cintura. Era la mia preferita, e dico “era” perché non ho potuto non regalargliela. Beh, ve lo giuro, non ho mai visto una felicità tale negli occhi di qualcuno. Conservo la sua espressione da principessa indelebile, dentro di me.
Viaggio in Myanmar: Ngapali beach
Il nostro viaggio si è concluso a Ngapali beach, un luogo pieno di resort da cui spesso i turisti non escono se non per escursioni organizzate dagli stessi resort. Noi non abbiamo resistito al fascino della gente neanche qui. E la sera, muniti di torcia, facevamo a piedi un tratto di strada che portava al villaggio, un tratto completamente buio, e quel buio ci ha regalato un cielo stellato mai visto prima, un tratto interrotto qua e là da baracche con, dentro, famiglie ammassate, sorridenti. Qualcuna di esse aveva la TV e mi ha ricordato i racconti di mia madre, quando nel palazzo dove viveva c’erano solo una o due famiglie ad avere la televisione e si riunivano in tanti nelle loro case.
Sì, abbiamo dormito anche noi in un resort (a differenza di Yangon e Bagan), non avevamo trovato altro a Ngapali, ma abbiamo fatto snorkelling con le persone del posto semplicemente chiedendo direttamente a loro, abbiamo mangiato nei loro ristoranti (che non sono dei ristoranti), cercando di far arrivare i nostri soldi direttamente a loro e non alla giunta militare come avviene per qualunque esercizio commerciale (ovviamente nei limiti del possibile: nel caso degli alberghi, per esempio, non abbiamo potuto fare altrimenti).
E non ci capivamo per niente con le parole, in pochissimi parlavano inglese, alcuni annuivano ma si capiva benissimo che lo facevano per educazione e non per comprensione. Eppure ci siamo capiti lo stesso, con i gesti. E con i sorrisi ancora di più.
Il Myanmar, Bagan in particolare, è un luogo che una volta visitato, ti rimane impresso…negli occhi…nel cuore…nella mente. Lo consiglio a tutte le persone che amano il viaggio come esperienza di conoscenza, degli altri e di se stessi.