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Miprendoemiportovia - Blog di viaggi

Castelli nelle Marche Gradara

Buongiorno viaggiatori mentre noi siamo in macchina di ritorno dall’ultimo viaggio diamo spazio a Marco che ci porta con lui a scoprire i castelli nelle Marche in una top 3 degli imperdibili. Nella vita si occupa di libri (è un libraio), ma il poco tempo che lavoro e famiglia gli lasciano a disposizione lo spende volentieri per parlare della Provincia di Pesaro e Urbino, la sua terra, e lo fa attraverso il blog ilfederico.com.

Castelli nelle Marche: viaggio nei suoi imperdibili 3

Quando senti qualcuno dire della Provincia di Pesaro e Urbino e lo cogli infilare tra le parole il termine ‘castelli’, puoi stare sicuro su dove andrà a cadere il discorso: Gradara.
D’altro canto, il fortilizio gradarese è una vera celebrità. Un profilo, il suo, ritratto da fotografi  e pittori di ogni stile e nazionalità. E in effetti non c’è appassionato medievalista che non conosca a menadito la fisionomia delle mura di questo abitato piantato tra le fertili colline all’estremo nord delle Marche che, per inciso, è pure Borgo dei Borghi 2018.

Castelli delle Marche Gradara

E vogliamo aggiungere qualcosa circa gli ormai quintali di carta imbevuta dei fiumi d’inchiostro su cui navigano i fatti di Paolo e Francesca?

Castello di Gradara, magnifico castello nelle marche

Non che la cosa mi dispiaccia, intendiamoci: il Castello di Gradara è e rimane un posto fantastico.
Ma quando tutti i riflettori sono rivolti in un’unica direzione, il resto della scena resta in ombra. E così altri luoghi d’incanto, magari situati nelle immediate vicinanze, vengono ammantati d’una immeritata invisibilità.

E allora oggi ve ne voglio raccontare tre di questi castelli marchigiani, castelli capaci di gareggiare per storia, per tecnica architettonica e per stravaganza con il fortilizio che conobbe le gesta degli ‘sventurati amanti’, meraviglie ancora lontane dai principali itinerari turistici.

Pronti? Si parte!

Castello di Montecopiolo

Il castello nelle marche di Montecopiolo è abbastanza conosciuto tra gli sportivi per le belle camminate che sa offrire, per le efficienti piste da sci e per i paesaggi che sanno fare da sfondo a indimenticabili pedalate, il territorio copiolese è in vero meta, di tanto in tanto, anche di qualche sparuto gruppo di studiosi. 

E sono proprio questi amanti della storia le vittime ideali per lo scherzo da prete che immancabilmente Montecopiolo usa giocare al novello visitatore.
Non è raro imbattersi infatti in un qualche forestiero che macina chilometri, perso per gli svariati villaggi che vanno a comporre questo Comune sparso, intento nel domandarsi che fine abbia fatto il castello di cui si fa menzione in ogni buon libro d’argomentazione storica.

Per quanto egli possa dannarsi l’anima non troverà che abitati moderni o, se vecchi, umili. Nulla che abbia a che vedere, insomma, con il maestoso fortilizio conosciuto a tutto il XV° secolo come ‘imprendibile’.

Montecopiolo

Per scovare il vero ‘centro storico’ del paese è infatti necessario volgere lo sguardo là dove terra e cielo si accarezzano, bisogna che gli occhi inforchino il pezzetto di suolo lasciato sgombro dalla selva che ricopre quell’altura appenninica conosciuta come Roccaccia, uno sperone roccioso che giurereste troppo aspro e inadatto a ospitare la vita. E una volta guadagnata la cima del detto poggio, nessun negozio di souvenir, nessun tavolino da bar sarà lì a dare il benvenuto. Ad attendervi solo mura a brandelli.

Castelli delle Marche Montecopiolo

E allora perché vi parlo di questo luogo? Perché pongo su un piano simile la bellissima Gradara e questo ammasso di ruderi? Non certo per via della natura incontaminata che lo circonda o dell’interessantissimo sito archeologico che vi è stato allestito. Il fatto è che se il borgo di Paolo e Francesca è la favola, il biglietto da visita ideale per la Provincia di Pesaro e Urbino, Montecopiolo ne rappresenta come nessun altro la vera storia.

Il casato dei Montefeltro

È questa la culla del casato dei Montefeltro. È qui che, a seguito di divisioni ereditarie, si fece largo tra la folta chioma dell’albero genealogico dei Conti di Carpegna il rametto feltresco.
Qui che tre secoli dopo uno tra i più celebri condottieri, vale a dire Federico da Montefeltro, fece base per quell’incredibile impresa che fu la presa di San Leo. Ed è proprio questo l’unico castello dell’antico Ducato d’Urbino che non cadde mai in mano nemica.

Se di pietre ce ne sono ormai poche (la maggior parte sono state trascinate nella più comoda vallata e riutilizzate come materiale da costruzione), quelle rimaste danno origine a un luogo carico di suggestioni. Suggestioni amplificate da un panorama splendido, una veduta che non ha uguali per decine – o forse per centinaia – di chilometri, dove la vista spazia a 360 gradi fino a perdersi all’orizzonte sui rilievi del Catria e del Nerone da una parte e sulle alture sammarinesi dall’altra. In fondo, lontanissima, una strisciolina azzurra: il mare.

La Rocca Ubaldinesca

Abbandonata Montecopiolo, non avrete da chiedere chissà quale sforzo al motore della vostra auto: si va per Sassocorvaro, abitato non più distante di una ventina di chilometri. La meta? Quello che probabilmente è il fortilizio più stravagante d’Italia, la Rocca Ubaldinesca.

L’incredibile costruzione è sì nota, ma soltanto tra i cosiddetti ‘addetti ai lavori’. Critici d’arte, studiosi di storia militare e appassionati di esoterismo l’avranno senza dubbio vista citare tra le pagine oggetto dei loro studi, ma per il grande pubblico rimane luogo pressoché sconosciuto. Ed è un gran peccato, un peccato che cercheremo di lavar via almeno in parte, non già con un Ave Maria, ma andando a dare un’occhiata più da vicino.

Il castello donato a Ottaviano degli Ubaldini

Era il 1470 quando Federico da Montefeltro volle gratificare il suo braccio destro (e forse fratello) Ottaviano degli Ubaldini affidandogli lo strategico borgo sassocorvarese, l’ordine quello di migliorarne le difese con l’aiuto di uno tra i più grandi architetti di tutti i tempi: il senese Francesco di Giorgio Martini.

Francesco, nel progettare la fortezza, si trovò fin da subito a dover fare i conti con una realtà complicatissima. Da una parte c’era la necessità di non scontentare Federico, uomo tanto pratico quanto amante di meraviglie: la costruzione avrebbe allora dovuto essere non solo funzionale sotto il profilo bellico, ma anche splendida.
Dall’altra bisognava far fronte alle richieste al limite del possibile del committente vero e proprio, Ottaviano. L’Ubaldini, oltre a essere un filosofo e un letterato, era pure un gran conoscitore d’astrologia e di esoterismo: sono queste le passioni a cui possiamo far ricondurre la sua ferma intenzione di conferire alla rocca le sembianze di tartaruga, animale simbolo alchemico di forza e durevolezza.

Francesco di Giorgio Martini l’architetto che cercò di resistere alle bombarde

Il talentuoso architetto avrebbe dovuto far fronte a un’ulteriore consegna, con tutta probabilità la più impegnativa: edificare la prima struttura in grado di resistere all’arma del diavolo, la bombarda.

Castelli delle Marche

 

La sua resistenza fu testata nella seconda guerra mondiale testimoniata da una piccola crepa nella parte alta del complesso difensivo . Il segno, quasi invisibile, ricorda il punto esatto in cui impattò un ordigno tedesco che distrusse completamente le abitazioni nelle immediate vicinanze. 

Il talentuoso toscano si è guardato bene dal dire della Rocca Ubaldinesca nei suoi trattati che se le superfici curve che vanno a comporre la fortezza riducevano enormemente la forza d’impatto dei proiettili, rendevano altrettanto difficoltosa la visibilità per i difensori. E non puoi certo combattere ad armi pari contro un nemico di cui non vedi gli spostamenti.

Questi sono i fatti che spinsero più d’uno ad affibbiare alla del tutto inconsueta costruzione l’appellativo di ‘meraviglioso fallimento’. 

La rocca come riparo per opere d’arte nella seconda guerra mondiale

La Rocca Ubaldinesca ottenne la sua rivincita con la Storia cinque secoli più tardi, allorché il professore Pasquale Rotondi concentrò al suo interno, siamo nel 1939, un gran numero di dipinti, oltre diecimila tele dei più grandi artisti di tutti i tempi. Fu con questo atto coraggioso e assai lungimirante, detto ‘Operazione Salvataggio’, che l’Italia riuscì a preservare le sue più grandi meraviglie pittoriche dalla furia nazista del dopo armistizio. Ed è grazie al Rotondi e alla Rocca Ubaldinesca se ancora oggi possiamo ammirare i lavori di Caravaggio, Raffaello, Rubens, Canaletto, Piero della Francesca e di tanti altri talenti capaci di scrivere capitoli indimenticabili sul grande libro della Storia dell’Arte.

La rocca roveresca di Mondavio

Francesco di Giorgio Martini non era certo il tipo di uomo che si abbatte al primo tentativo mal riuscito. Con caparbietà egli riuscì in seguito a dare nuova forma alle sue idee e a mettere le basi per altri edifici, questi sì, efficacissime e spesso insuperate macchine da guerra.

Ma il ghigno cattivo del destino attendeva il Ducato appena dietro l’angolo. Erano i primi anni del ‘500 quando alla corte urbinate arrivò la richiesta da parte di Cesare Borgia di poter far transitare il suo potentissimo esercito per le terre del piccolo Stato feltresco al fine di raggiungere più agevolmente il sud delle Marche.
Il profondo senso di amicizia che sembrava legare Guidobaldo da Montefeltro al figlio di Papa Alessandro VI° mal consigliò l’erede del grande Federico. Spalancando le porte del Ducato a colui che in più di un’occasione l’aveva definito ‘mio unico fratello in terra italiana’, egli dovette presto scoprire le sue terre occupate con l’inganno e messe a ferro e fuoco.

 Castelli delle Marche

Cesare Borgia conquista il Montefeltro

Ma se il Borgia aveva ottenuto il dominio sul territorio senza dover fare i conti con le spade urbinate, avrebbe tuttavia dovuto vedersela di lì a poco con un’arma ancora più invincibile: l’amore che legava il popolo a Guidobaldo, principe generosissimo che tanto aveva fatto per lenire le sofferenze dei più poveri. E furono proprio questi, umili contadini, artigiani e casalinghe a dare la stura a una rivolta implacabile che partì da Montecopiolo e San Leo e che presto investì tutto il Ducato.
Roche e Castelli vennero ripresi dalla gente al grido rabbioso di “Feltro! Feltro!” e l’abilità diplomatica del Montefeltro fece il resto.

A conferma del coraggio e della lungimiranza proprie del Signore d’Urbino è una decisione assai impopolare, ma decisiva: egli, indovinando un ritorno del nemico, ordinò di distruggere le migliori fortezze del Ducato – compresa quella cagliese, la più formidabile – con la motivazione che “non esiste rocca più forte del cuore della mia gente”. Pazzia? Tutt’altro. Cesare tornò, ma ogni conquista fatta prese a sfuggirgli di mano appena voltato l’angolo come sabbia tra le dita.

La rocca Rovesca di Moldavio scampata alla distruzione

Fortunatamente a dire dalla maestria in campo architettonico e militare del Francesco di Giorgio più maturo rimane ancora un testimone, la rocca roveresca di Mondavio. Il castello mondaviense entrò infatti solo in periodo tardo a far parte del Ducato e questo fatto lo risparmiò dalla devastazione. Non è certo questa l’opera principale del senese, ma di certo è mezzo utile per comprenderne genio e originalità.

Gettando l’occhio sulla fortezza, subito colpisce la mole del torrione d’ingesso che sovrasta il ponte in muratura che, in tempi più recenti, è andato a sostituire quello levatoio. A sorprendere maggiormente il visitatore è tuttavia un altro elemento: il possente mastio poligonale, le cui pareti sfuggenti , al pari di quelle della Rocca Ubaldinesca, sono ideate per resistere ai colpi di artiglieria. L’unica differenza è che a Mondavio i difensori dispongono di un campo visivo del tutto aperto, una visuale a 360° sul borgo e sulle sottostanti vallate.

All’interno del fortilizio trovano spazio l’Armeria e il Museo di Rievocazione Storica, mentre il fossato ospita enormi macchine da guerra realizzate artigianalmente secondo i disegni di Francesco di Giorgio.

Buona visita e… Buon Ducato!

Ciao siamo Elisa e Luca, due viaggiatori incalliti che hanno fatto della loro vita un viaggio senza fine. Ci siamo entrambi licenziati da un lavoro che ci piaceva ma che non ci permetteva di vivere la vita che volevamo. Abbiamo un cuore rock’n’roll che batte all’unisono e un’anima gipsy. Il nostro motto? I sogni nel cassetto fanno la muffa, quindi tiriamoli fuori che la vita è lì che ci aspetta!

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