Buongiorno a tutti cari lettori oggi parliamo di volontariato in Bolivia insieme ad Andrea e Veronica del blog improntenelmondo.it. Leggere la loro presentazione in “chi siamo” ci ha fatto tornare il sorriso sulle labbra. Il modo leggero con cui scrivono di esperienze di viaggio molto toccanti è da tenere d’occhio. Fatelo, buona lettura amici…
“Pare! Pare!” gridano i passeggeri del colectivo che ci sta portando in centro quando devono scendere.
Non passiamo inosservati sul vecchio furgone: la tratta Plan Tres Mil – Santa Cruz de la Sierra non è frequentata dai turisti. Tutti ci riconoscono come los italianos del Plan: gli stranieri che fanno i volontari nel quartiere periferico della città, tra baracche e case basse in muratura, strade polverose che diventano paludi alle prime piogge e centinaia di sorrisi dei bambini.
“Pare!” gridiamo. Siamo arrivati in Plaza 24 Septiembre, la principale di Santa Cruz. Il centro appare solitamente ordinato e tranquillo, ben distante dal caos incontrollato delle vicine città andine, ma oggi è il 6 agosto e c’è il desfile.
Ci accompagna Monica, amica boliviana che vive da anni in Italia ma che appena possibile torna al Plan, a trovare i genitori. Monica ci porta a colazione e, assecondando la nostra curiosità di cibo locale, si guarda bene dallo svelarci in anticipo gli ingredienti delle portate. Ordiniamo caffè, cuñapè e salteñas.
I primi sono quelli che in Brasile chiamano Pão de quejo, morbidi panini al formaggio; le seconde sono una specie di panzerotti di pastafrolla salata ripieni di carne macinata, patate, cipolla e uova di quaglia…
Ormai siamo abituati alle sorprese culinarie della Bolivia: dopo che nel villaggio di Yapacanì, sulla riva del Rio Surutù, ci hanno proposto tatù e jochi, rispettivamente l’armadillo e la nutria grigliate…la salteña al confronto ci sembra un croissant parigino!
Prendiamo posto seduti sul marciapiede in piazza e aspettiamo. Poco distante il palco delle autorità con i microfoni gracchianti; lungo il muro i manifesti di propaganda a favore del Presidente accanto a quelli fortemente critici. Questi ultimi, abusivi.
Si comincia: il desfile è la sfilata; la madre di tutte le sfilate: la celebrazione dell’orgoglio boliviano, della fierezza di un intero popolo nel giorno dell’indipendenza dalla Spagna, ottenuta il 6 agosto 1825.
Tutti sfilano, ordinati e perfettamente allineati. In testa il sindaco, i giudici e le autorità; poi gli insegnanti, gli studenti, gli universitari. Tutti schierati in perfetto ordine reggendo la bandiera boliviana. Poi i gruppi delle varie professioni, compresi i muratori, gli spazzini, gli infermieri e le sarte. Compresi i cocaleros: piaccia o meno i coltivatori di coca rappresentano una fetta consistente dei lavoratori boliviani e sono stati tutti vani i tentativi internazionali per riqualificare le coltivazioni di coca e reimpiegare gli occupati del settore. Forse il fatto che il Presidente fosse un ex cocalero ha contribuito a difendere la categoria.
Sfilano i corpi militari tra i quali la marina. Curioso, per uno stato senza alcuno sbocco sul mare! Subito dietro, le ragazze dell’accademia militare. Scattiamo alcune foto e quando si rendono conto di essere dentro il nostro obiettivo succede l’imprevedibile. La sfilata si ferma. Vietato fotografare i militari? Al contrario! Ci mettono in mano una bandiera, ci invitano ad unirci al gruppo per farci fotografare con loro e per un breve tratto di sfilata insieme. Un modo istintivo, esuberante e forse un po’ trasgressivo per dimostrare la grande fierezza e il grande senso di appartenenza a questo meraviglioso e tribolato Paese.
Torniamo al Plan Tres Mil, ai sorrisi dei bambini dell’asilo che ci ospita, alla cancha, il campetto da calcetto dove per ore e ore si rincorre un pallone, alle altalene fatte con i copertoni dismessi dei camion, al pollo asado che un piccolo banchetto vende ogni sera, e che ogni sera compriamo per portare in qualcuna delle baracche, fingendo di voler cenare con gli occupanti per far mangiare i bambini.
In cambio un abbraccio stretto e un sorriso ripagano qualsiasi fatica, soprattutto quella per trattenere le lacrime. Ogni giornata qui ha un’intensità e una profondità uniche, sensazioni che solo il Sud del Mondo ti può offrire e quando le accetti senza condizioni, ti trovi inesorabilmente legato a quei luoghi…