She must be a business traveler
Lei non ha più bisogno di presentazioni, ormai non può più essere considerata solo una special guest del mercoledì perché l’appuntamento su questo blog è diventato fisso e da queste pagine le chiediamo se abbia voglia di diventare una tata collaboratrice. E’ brava, il suo stile ci piace un sacco e viaggia tanto ma non solo per piacere e in questa lettera ci racconta perché. Grazie Giorgia ci vediamo al prossimo post.
Sono una expat.
Mi sono trasferita in Svizzera per lavorare per una multinazionale americana nel più inutile (e quindi ricco) dei settori. Mangio carne. Ho un debole per i whiskey e le farmacie. Fumo e se guardo dentro al mio armadio trovo anche una stola di pelliccia. Mi sento l’archetipo della persona che la gente per bene dovrebbe aborrire. Eppure non mi sento un mostro al 100%: amo tanto. Di seguito la mia lettera d’amore.
Viaggio per lavoro ad intervalli regolari (di sicuro pianificati e approvati). Se mi chiedono com’è Istanbul io dico “è una delle città più belle che ho visto! Devi assolutamente andarci!!“. Ma lunedì aspettando l’auto per l’aeroporto al buio e al gelo delle 5 di un mattino dicembrino e svizzero ho pensato: ma io cosa so di Istanbul?
Vi porto con me in un viaggio alternativo, nel quale molti di voi si riconosceranno, credo/temo: quello dove non si va in vacanza, si va al lavoro.
Sono quegli aerei che non hai voglia di prendere (tipo lunedì), e questo di per sé è già un controsenso. Sono quei viaggi dove puoi dimenticarti tutto ma non il lap top e il telefono, e anche questo è un controsenso. Dove tutto è scalettato al minuto e un’ora di ritardo dell’aereo potrebbe mandarti a monte l’intera giornata (tipo lunedì). è il turismo del “magari mi fermo per il finesettimana” e poi non ti fermi mai perché hai solo voglia di non avere quel lap top che ti guarda (“controllami! hai 112 mail non lette!“). E’ il turismo delle tangenziali e della guida spericolata degli autisti che hanno il compito di portarti da A a B nel minor tempo possibile mentre guardi fuori dal finestrino oscurato e qualsiasi cosa tu veda che ti possa attrarre te la devi per forza lasciare indietro. Mi pare un turismo mancato, quasi un viaggio che fa male. Come quando ti innamori di chi non puoi avere.
Io amo Istanbul e non riesco mai a visitarla.
Il problema è che non ti puoi perdere: devi essere sempre presente. Nel tuo personaggio. Una volta un fornitore in vena di showing off ci ha offerto una cena in crociera sul Bosforo. Credo di poter dire con certezza che sarebbe stata una delle esperienze più belle che io abbia mai fatto se al mio fianco ci fosse stato mio marito e non un mio collega (per quanto il collega in questione sia una persona assolutamente piacevole) e si fosse parlato di quanto è bella Istanbul e non di volumi d’affari.
Ma ci sono cose che mi piacciono del “turismo lavorativo”: per esempio non vai mai dove le guide ti dicono di andare. Ho visto la Moschea Blu di corsa prima di prendere un aereo, ma passo 8 ore nei posti dove la gente vive e lavora e non ti guarda come un potenziale cliente, ma come un personaggio strano che ogni tanto arriva, mette tutti in agitazione per un giorno e due e poi scompare fino alla volta successiva.
Dopo un po’ li conosci e loro ti conoscono.
Per chi come me è interessato al tessuto sociale e quotidiano del mondo, è un’esperienza interessante. Ci provo sempre a scambiare due parole durante le pause, ma oltre ad un sorriso non si può andare molto più in là. Ma si vede la vita vera con i crocchi di gente a lato autostrada in attesa di venir caricati dal collega automunito, le partenze dei pullman nei piazzali delle aziende per i lavoratori che tornano a casa nei quartieri lontani dal luogo di lavoro (in Turchia le aziende oltre una certa dimensione devono garantire questo servizio… ci sarebbe da imparare) e i quartieri industriali che nascondono i baracchini di street food per gli autisti. Sono stata ad Istanbul tante volte e non ho mai visitato degnamente il centro. Ma ho fatto un viaggio in auto di tre ore attraverso il ponte che collega le due Istanbul, fino a Duzce e da dietro il mio finestrino (sempre oscurato) ho visto quanto oltre il centro si spanda in una Instambul intricata, ammassata .. e bassa … come se nonostante la sua taglia gigantesca voglia comunque lasciare a tutti la possibilità di respirare e vedere il sole. Mi ha colpito perchè è il contrario di quello che si vede in Asia, dove invece i quartieri dormitorio sono alti, uguali e soffocanti. Confinati nei centri turistici non riesci ad immaginarti che bestioni brulicanti si muovono dietro i sipari.
Ho visto diverse città da questo punto di vista che per certi versi potrei definire privilegiato. Parti dalla città di riferimento dove hai l’hotel e finisci puntualmente in un posto che le guide turistiche non ci citano nemmeno per sbaglio, ad almeno un’ora e mezza dalla prima “attrazione”. E finisci nella sorella industriale di Shanghai, nella periferia di Taipei (dove l’umidità ti abbraccia come una coperta di lana ad agosto) e nella giungla fuori Jakarta dove c’è la gente seduta fuori dalle case sulla strada (l’unica) e li invidi perchè, in quel momento almeno, loro stanno sicuramente meglio te, che sei atterrato alle 6.30 dopo 10 ore di volo e alle 8.30 sei in un ufficio a ingollare litrate di caffeina e teina per poter essere mentalmente presente almeno fino alle 17.
Poi vedi le città nei periodi morti, senza turisti, se non quelli lavorativi come te e forse anche loro non vedono l’ora che quella cena finisca mentre già si scalettano quello che c’è da fare il giorno dopo. Mercoledì ho visto Istanbul bianca sotto una bufera di neve, mentre nelle guide è sempre fotografata sotto un cielo limpido e turchese. A Istanbul nevica. E tanto. E sono più organizzati che a Roma.
Il viaggio lavorativo sembra trascinarti in una dimensione parallela e improvvisamente ti rendi conto di essere nel bar di un hotel che non ti potresti permettere, finalmente da solo, in tuta, mentre il resto degli astanti è in abito da sera. Ma ti perdoni e anche loro alla fine ti perdonano: “she must be a business traveler”.
E’ il viaggio che ti fa pensare, controsenso dei controsensi, “Non si riesce a tornare un giorno prima?“
Eppure mi piace lo stesso perché è viaggio lo stesso. Un po’, appunto, come amare una persona che non si può avere, ma cercarla comunque per poterla averla vicino almeno un ora.