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Miprendoemiportovia - Blog di viaggi

La special guest di oggi è Cristina Felice Civitillo, conosciuta sui banchi di una classe virtuale in social media marketing. Cristina ci ha già parlato di una perla del Mediterraneo, Lampedusa, qualche mese fa, oggi ci porta in un luogo veramente speciale che ha resistito alle scosse.

Lo confesso, non ricordavo. Ero così presa dall’idea di visitare il  borgo di Santo Stefano di Sessanio, ritenuto tra i più suggestivi del Parco Nazionale del Gran Sasso, che ho dimenticato che in quella zona nell’aprile 2009 c’era stato un tremendo terremoto.

Così quando io e Diego siamo arrivati per sperimentare l’albergo diffuso all’inizio sono rimasta perplessa: che ne era del paese completamente costruito in pietra calcarea bianca delle foto? E la torre medicea?

Poi ho capito che se avessi ricordato, allora forse non sarei partita e avrei perso questa esperienza di turismo- testimonianza. Perché la bellezza di questo borgo riesce a venir fuori anche dietro le travi e le impalcature che contengono gli edifici quattrocenteschi e il silenzio di questo paese abitato ormai solo da 30 persone dona al mio giro più calma per le riflessioni.

E allora prende ancor più valore il progetto di Daniele Kihlgren di albergo diffuso che attraverso un approccio di Restauro Conservativo del Patrimonio Storico Minore ha restituito al territorio una sua primordiale identità  che amalgama lo stile architettonico degli edifici, l’ambiente, i costumi e le tradizioni popolari da tramandare e salvaguardare. Perché questa storia e memoria non deve andar smarrita sotto le macerie o nei ricordi delle persone.

Erano queste le riflessioni che mi hanno portata a L’Aquila. Il mio desiderio era capire, vedere, non con la morbosità del turismo dell’orrore, non ho fotografie di questa visita perché tale era l’imbarazzo di venire come turista che la macchina fotografica è rimasta sul fondo della mia borsa. Non ero mai stata in questa città prima, quello che mi ha colpito subito è stato lo skyline. Ci sono città piene di campanili, L’Aquila è piena di gru. Sembra uno di quei set cinematografici abbandonati, ma ancora piena di quei dettagli che ti fanno intravedere il passato. Maestosi edifici stretti in corsetti di ferro e legno. Saracinesche abbassate su un imponente corso. Le camionette dell’esercito con gli alpini. Istantanee del terremoto sulle facciate dei palazzi coperti. Qualche persona per il passeggio domenicale. Sommessi dialoghi e nell’aria fredda le note di un’emittente radiofonica.

“L’Aquila è morta, abbandonata a se stessa dal suo stesso popolo che è stato spinto lontano dal centro storico” viene da pensare. Ed è questo l’errore. Basta osservare questa città per vedere piccoli segnali di vitalità e voglia di ricominciare una nuova normalità: sulle saracinesche abbassate ci sono manifesti recentemente messi, parlano di corsi di tango, di laboratori teatrali e musicali, di letture con la partecipazione dei romanzieri; i ragazzi svettano da una colorata campagna di manifesti chiedendo una città a misura di studente; i pali della luce, le panchine, le fontane sono abbracciate da colorati pezzi di coperte lavorate ai ferri, da sciarpe, da drappi di vestiti.

Questa non è una città che vuol lasciarsi andare. Ma è una città che ha bisogno della consapevolezza di tutti affinché si sblocchino le cose. Un turismo responsabile può far molto per far ripartire le produzioni locali e tutti i servizi. Restituire L’Aquila ai suoi abitanti significa restituire a ciascuno di noi un tassello della propria identità nazionale.

Se un sogno ha tanti ostacoli, significa che è quello giusto” ho letto in una delle poche strade aperte. Il mio sogno per questa città è che la testimonianza dei turisti e la forza dei suoi abitanti la facciano risorgere.

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