Siamo in giro per Budapest dalla mattina presto, il freddo si fa sentire così decidiamo di andare a “riscaldarci” da qualche parte.
Inizia così, quasi per caso, il nostro incontro con la Casa del Terrore di Budapest.
L’impatto è fortissimo, già dalla strada. Un edificio al numero 60 di Via Andrássy, costruito in stile neo-rinascimentale nel 1880, con un’enorme scritta come cornicione: Terror. Sul muretto ad altezza uomo che lo circonda una fila lunghissima di candele come a ricordare tutte le anime che hanno perso la vita al suo interno.
Il Museo del terrore è stato, infatti, costruito nel palazzo che dal 1944 al 1956 ospitò il centro di tortura comunista per gli ipotetici oppositori del regime e ancor prima negli anni ’40 fu sede del Partito delle Croci Frecciate, stretti collaboratori della Germania nazista. Non una ricostruzione quindi ma la verità che si tocca con mano. Lì le persone, torturate, ci son morte per davvero.
E si sente, nell’aria, nei muri, grazie ai colori scelti nell’allestimento ed ad alcune azzeccatissime ricostruzioni come il carrarmato posto al centro del pian terreno dal quale fuoriesce inesorabile, lento, all’infinito dell’olio che cola dalle parti del pavimento, come una macchia che non va più via e ti rimane addosso per sempre.
E lo capisci ancor di più quando sali sull’ascensore che ti porta nel seminterrato dove erano presenti le celle di detenzione. L’ascensore scende lento, lentissimo. Le vetrate sono trasparenti e si scende nel cuore della terra al buio. Dallo schermo esce una voce di un uomo, una testimonianza di cosa rappresentavano quelle celle. Celle strette quanto una persona che costringevano a stare in piedi eretti per giorni, celle senza gabinetto o giaciglio, celle basse circa un metro che non permettevano di stare eretti mai. Giù c’è un puzzo poco sopportabile e non tutti riescono a farne esperienza, alcuni visitatori rinunciano e si sbrigano verso l’alto per riprendere un po’ d’aria.
L’idea portante del progetto del museo è quella di ricordare le vittime delle due dittature che hanno caratterizzato la storia ungherese del XX secolo: il Nazismo e il Comunismo. E ci riesce in maniera magistrale. Subito all’entrata il visitatore trova davanti a se due enormi blocchi di granito, uno ricorda le vittime della prima, l’altra della seconda dittatura. Il messaggio è evidente: ”Non ci sono vittime primarie e secondarie, ci sono solo vittime”.
Manuela
Ebbene sì. Ci sono stata anche io, e avevo i brividi mentre guardavo le immagini e i video. Sembra una di quelle storie trite e ritrite sui libri di scuola, ma vedere dal “vivo” più o meno quello che è realmente accaduto, è tutta un’altra storia
https://pensierinviaggioo.blogspot.it
giuseppe
Gran bell’articolo
Elisa e Luca
grazie mille Giuseppe!