Quando penso al Karnataka è come se nella mia mente ci fosse solo Hampi e un volo avesse portato la sottoscritta e il suo compagno di vita, direttamente nel Tamil Nadu.
Eppure il nome di Mysore scalpita dentro, così sono costretta a compiere un passo indietro e riprenderla in considerazione.
Il viaggio che ci porta nella città del sandalo è avventuroso, come può essere un tragitto in bus notturno in India. Nella cuccetta accanto viaggia una giovane tedesca conosciuta nella straordinaria Hampi. Sono tanti i viaggiatori in solitaria che incontriamo durante il viaggio, molti giovanissimi, ma notiamo anche famiglie con bambini al seguito. Ci rendiamo presto conto che in Italia viviamo in una sorta di campana di vetro, sulla quale vediamo proiettata una visione distorta ed esageratamente pericolosa del mondo, ma adesso la campana non c’è più. Per fortuna.
Il primo impatto con Mysore è freddo e ostile, come può esserlo una grande città. Subiamo, in netto ritardo, lo shock culturale di cui avevamo letto su alcuni diari di viaggio. Perdiamo energia e ci sentiamo smarriti ma, nonostante queste sensazioni, dovute anche alla stanchezza, vogliamo vedere le bellezze della città. Dentro il Palazzo del Maraja, accade l’inimmaginabile, rivediamo la backpacker tedesca del viaggio. Il tempo di un saluto e ci perdiamo subito nella folla, le nostre strade si dividono per sempre.
Il Palazzo è incantevole, ma di Mysore ci colpisce la colorata esperienza al mercato dei vegetali: bancarelle di fiori profumati, ortaggi disposti con cura come splendidi mandala, incensi odorosi, polveri di colori brillanti, mercanti chiacchieroni. Fuori dal mercato “inciampiamo” sul set di una pubblicità: una bellissima ragazza addenta con gusto dei dolci davanti alle telecamere, sotto gli occhi curiosi dei passanti.
Nel tempio Chamundeswari, che si trova in cima alla collina Chamundi, facciamo la puja. Scopriamo, con emozione, di essere gli unici viaggiatori, ma a Mysore questo ci capita spesso. Non è semplice spiegare la tempesta emozionale che ha scatenato la città, sicuramente ci ha lasciato un segno indelebile e ha segnato il secondo tempo nel nostro percorso.
Che dovessimo pareggiare un conto karmico rimasto in sospeso in una vita precedente? Chissà. In ogni modo, cedendo al richiamo del bus-wallah, andiamo a Bangalore con l’idea di prendere un altro mezzo per Tiruvannamalai, il cuore del mondo, la città sacra a Shiva.
Il tragitto verso Tiru è un respiro del cuore, una parentesi emozionante. Siamo gli unici viaggiatori in un bus locale che straripa di gente e non ci sono le porte! Ci sediamo in tre su due sedili e il baffuto bigliettaio cerca di estorcere, solo a noi, venti rupie a bagaglio… non abbocchiamo e, smascherato, si allontana ridacchiando. Attraversiamo villaggetti sperduti e paesaggi indimenticabili, vediamo studenti e studentesse giocare a cricket davanti alle scuole, altri poi tornare a casa con lentezza, avvolti nelle loro eleganti divise.
Una bambina avanza a piedi nel nulla, sotto il sole, con una cartella sulle spalle … chissà quanta strada farà ogni giorno per tornare a casa?
Viaggiare con i mezzi pubblici è spettacolare. Il paesaggio cambia continuamente davanti ai nostri occhi e se esiste davvero una vera India, potrebbe essere quella. Forse è lì il suo cuore pulsante, fuori dai percorsi prestabiliti, a manifestarsi come una presenza generosa nell’elargire visioni e colori, fotografate dal cuore che non conosce giudizi. Forse, non ne siamo sicuri, in fondo, come ci ha insegnato qualcuno: “In India tutto è possibile e niente è certo!”
Anche le soste ci divertono: uomini che, inspiegabilmente, riescono a salire al volo sul mezzo di trasporto e districarsi in quello che è divenuto ormai un unico corpo sul bus, vendendo samosa e, quando riusciamo a mettere i piedi a terra per qualche istante, gli immancabili chai.
Ristorati dalle immagini che scorrono dai finestrini, cullati dalla curiosa presenza dei nostri compagni di viaggio, arriviamo nel Tamil Nadu oltrepassando un arco che lo separa dal Karnataka. E dopo aver attraversato quello che per noi è l’ultimo villaggio di questo emozionante viaggio in bus, l’autista ci lascia gentilmente ad Arunachala, proprio davanti all’ashram di Ramana Maharshi. Siamo subito risucchiati dall’energia mistica di questo luogo lussureggiante, popolato da scimmie curiose, pavoni vanitosi e pellegrini che provengono da tutto il mondo, senza contare la fortissima presenza di devoti locali.
Trascorriamo la maggior parte del tempo seduti sui pavimenti dell’ashram ad ascoltare ipnotizzati gli inni sacri dei bramini, osservando le cerimonie che compiono con l’acqua o partecipando ai riti che si svolgono durante la giornata. Nei pressi del piccolo ghat adiacente all’ashram sostano diversi sadhu, forse scesi dalla montagna che presenta numerose grotte nelle quali qualcuno si ferma per meditare o vivere. Un giovane viaggiatore si ferma timidamente a mangiare con loro, sembra la scena di un film.
Proviamo a salire sulla montagna sacra un paio di volte. Lungo il tragitto incontriamo viaggiatori, pellegrini, meditatori, bellissimi cani e grandi scimmie appese agli alberi come frutti. Ci colpisce una di loro, seduta in contemplazione verso il tramonto! Da un punto particolare, osserviamo dall’alto il maestoso tempio Arunachaleswarar. Il rumore dei clacson, che fa parte del tipico caos indiano, si sente anche lassù. Incredibile! In quei momenti indimenticabili gli occhi si lavano attraverso nuove immagini, i sensi si risvegliano e le barriere cadono, facendoti sentire nudo. Grazie India.
“A volte per vincere devi saperti abbandonare”, aveva detto Karla. Aveva ragione. L’abbandono è il cuore dell’esperienza indiana. Mi arresi. Shantaram.
Questo articolo appantiene al diario di viaggio in India di Sara che è già stata special guest del mercoledì altre due volte, se vuoi leggere i suoi articoli eccoli qui:
Lena
Grazie perchè con questo tuo racconto di viaggio ho viaggiato anche io. Respiro odori, profumi, vedo colori e “sento” la gente di quei luoghi attorno a me, calpesto con l’immaginazione quelle terre, salgo la montagna e… se chiudo gli occhi sono proprio in quell’ashram… grazie, meraviglioso articolo.
Lena
p.s.: e “quel” libro mi rincorre sempre, mi chiama…
Sara Chandana
Grazie di cuore a te, Lena, per aver letto e commentato. Credo che sia importante riuscire a realizzare i propri sogni e ancora di più condividerli con gioia. Non c’è niente di più bello. Shantaram è un libro meraviglioso, se ti chiama… ascoltalo 🙂 Un abbraccio.
Elisa
e grazie di cuore a te Sara per aver scelto il nostro blog per condividere queste stupende emozioni. Grazie per farci viaggiare con te <3
Sara Chandana
Per me è una gioia poter condividere questo viaggio proprio da qui, lo trovo un luogo speciale nel quale mi sono sentita subito a casa. Un abbraccio 🙂